A gift from Japan

Sarà la comparsa di qualche timida luminaria sui balconi o i prematuri spot televisivi ma il Natale è nell’aria e se per parenti e amici possiamo anche permetterci di ricorrere a soluzioni last minute, nel mondo aziendale pianificare è essenziale e i business gift sono già stati ordinati. Anche quest’anno, come ogni clima prenatalizio che si rispetti, mentre l’ansia sale di fronte alla lista mentale dei regali da fare, per un attimo ci interroghiamo sul perchè di tanto affanno: regalare non dovrebbe voler dire “donare se stessi”?
Sempre più dipinti come irrecuperabili consumatori individualisti, ci chiediamo se anche l’atto del dono si sia ridotto a mero esercizio di stile, privo di reale significato. Eppure ci sono casi in cui il modo migliore per dirlo è proprio con un regalo. Caratterizzato da diversi linguaggi a seconda del contesto, da il meglio di sè come forma di comunicazione diventando vera e propria arte in un paese in particolare: il Giappone.

UN RITUALE MADE IN JAPAN

Come tanti altri aspetti della cultura nipponica, anche quello del dono è un rituale estremamente codificato che si inserisce con forza nella simbologia delle relazioni sociali. La buona educazione fa parte del DNA giapponese e il dare e ricevere piccoli doni è una routine talmente diffusa da risultare in qualche modo “obbligatoria”. Se scegliere il giusto regalo è essenziale, altrettanto lo è regalarlo nel modo corretto, nelle occasioni opportune e secondo precisi modelli di comportamento.
Per un gaijin (“persona esterna al Giappone”) destreggiarsi in questa usanza può risultare complesso, ma basta calarsi un pò più a fondo nella cultura di questo paese, profondamente cerimoniale, per comprendere le ragioni della sua rilevanza. Rispetto, imbarazzo, umiltà sono parole chiave nel modo di relazionarsi tipico dei giapponesi e modellano ogni aspetto dello scambio di doni. Dal momento in cui offrire il regalo, che deve avvenire di norma all’ultimo minuto e in modo abbastanza defilato, a come accettarlo, innanzitutto rifiutandolo almeno un paio di volte, fino alle regole da seguire per mostrare gratitudine, per cui si innesca una sorta di gara di resistenza in cui a vincere è chi si aggiudica l’ultimo grazie.

UN REGALO PER OGNI OCCASIONE

Se in Occidente, pur con le dovute particolarità locali, siamo soliti associare il regalo ad un numero circoscritto di occasioni come compleanni, matrimoni e anniversari di vario tipo, quello giapponese è un calendario dalle numerosissime occorrenze, più o meno causali, in cui un dono rientra semplicemente nelle aspettative. Quando un amico inaugura la sua nuova casa o per ringraziarlo di un favore ricevuto, ma anche come augurio di una pronta guarigione o riconoscimento per i traguardi raggiunti: un regalo è sempre bene accetto, anzi, è “atteso”.
Il dono in denaro è comune e sono diversi i casi in cui l’etichetta prevede questi pagamenti di cortesia. L’otoshidama è la paghetta di Capodanno dei bambini, con l’isharyou si cerca invece di sollevare l’animo dell’infortunato e il senbetsu è per gli amici che si trasferiscono lontano. Ce n’è uno anche per l’amante, il tegirekin, qualcosa che per certi versi assomiglia a un “ricatto” sotto forma di somma da corrispondere alla fine della relazione.
Tra i giapponesi riveste poi un ruolo speciale l’omiyage, il regalo di quando si viaggia, da portare ad amici, parenti e colleghi al ritorno da una visita in una terra lontana. Non un semplice souvenir, i kanji che ne compongono la parola evocano il significato di “prodotto della terra”: sono infatti le specialità gastronomiche tipiche del posto visitato gli omiyage più apprezzati, con cui fare assaporare una fetta del luogo che si ha avuto la fortuna di esplorare.

Alcune festività tipicamente occidentali sono entrate a pieno titolo tra le ricorrenze nazionali, per quanto arricchite da particolarità made in Japan. A San Valentino, ad esempio, si verifica un simpatico ribaltamento dei ruoli con il giri choco, regalo in cioccolato che le donne fanno agli uomini per poi essere contraccambiate un mese dopo in occasione del White Day.
Introdotto all’inizio del XX secolo per accelerare la modernizzazione del paese e aumentare i consumi di fine anno, il Natale non è una delle feste più importanti per i giapponesi ma è comunque un evento in grado di fare esplodere i consumi, con un business annuale stimato in oltre un miliardo di dollari. Considerando che meno del 2% della popolazione si identifica nella fede cristiana, il 25 Dicembre è innanzitutto una festività commerciale, seppur declinata in salsa giapponese con la vigilia che spopola come notte per appuntamenti romantici, cene galanti e soggiorni in lussuriosi love hotel.

Tipici della tradizione sono invece i regali che si fanno a metà e a fine anno. L’ochugen, un pensiero con cui augurarsi buona salute tra parenti e amici, si scambia da inizio luglio a metà agosto, in concomitanza con la festa dell’Obon in onore degli spiriti antenati.
Da metà a fine Dicembre è invece il turno dell’oseibo, che deriva dalla tradizione di offrire ai membri più anziani della famiglia i doni destinati agli dei come augurio per l’anno nuovo. Oggi è un’occasione per ringraziare tutte quelle persone che in qualche modo hanno contribuito a rendere memorabile l’anno che si sta per salutare.
Con una media di 2 o 3 regali a famiglia, e alcune che arrivano a farne 10 se non 20, queste due festività sono particolarmente sentite dai giapponesi, sia nel cuore che nelle tasche. Bevande tipiche e prelibatezze regionali sono tra i regali più in voga e, se si vuole esagerare, c’è il costosissimo musk melon, frutto coltivato proprio per essere regalato.

NON È BUSINESS SENZA UN GIFT

La scelta di fine anno del giusto oseibo rappresenta un momento delicato anche per tutti i dipendenti che vogliano mostrare gratitudine ai propri superiori. Alla base di questi doni c’è quello che i giapponesi chiamano osewa, il senso di indebitamento nei confronti di qualcuno che si prende cura di noi, proprio come un leader a lavoro, capo e mentore al tempo stesso.
Nata come usanza riservata al parentame vario, questi regali sono così diventati la norma anche nell’ambiente lavorativo, come mezzo per consolidare lo spirito di squadra e di appartenenza all’azienda. Elemento fondamentale del galateo aziendale giapponese, non si tratta solo dei business gift fatti nelle più note occasioni, ma di un vero e proprio intreccio di piccoli doni che coinvolge ogni gradino della gerarchia e che fa parte in modo sistematico di come si fa business nel paese del Sol Levante.
È il “rituale” a diventare centrale, con le sue consuetudini e il suo preciso linguaggio attento a rispettare la provenienza, l’età, l’esperienza, tutti quegli elementi insomma che strutturano la scala sociale. Un buon consiglio se ci si appresta a fare un viaggio di lavoro in Giappone è quindi quello di dotarsi di un set di regali di emergenza da distribuire alla fine degli incontri, anche a chi non si prevedeva di incontrare. Piccoli pensieri di gusto raffinato, e non crediate di potervela cavare con una decina di “cloni”: differenziare è fondamentale!

“(NON) È UNA SCIOCCHEZZA”

Non importa il prezzo nè il tempo speso a scegliere il giusto regalo, è comunque educato dire Tsumaranai mono desu ga, cioè che si tratta “di una cosa insignificante, di poco valore”. Per quanto possa apparire come una di quelle frasi fatte, è una formula di rito dettata dal kenson, la modestia che stempera i rapporti sociali in Giappone, come espressione di quell’attenzione quasi ossessiva a non suscitare imbarazzo e a non risultare invadenti. Un velo di umiltà con cui in realtà si sta dicendo tutt’altro: “la nostra relazione è piu importante di questo banale oggetto”.
Dal canto suo, chi riceve il regalo è solito mostrare sorpresa, rifiutare ripetutamente prima di accettare, senza mai dimenticare di ammirare la confezione. La presentazione del regalo, il suo packaging, non è mai lasciato al caso e anche quì ci sono alcuni accorgimenti che è utile adottare se si vuole riuscire nella elaborata arte dei pacchetti chiamata Tsutsumi.
Tecnica dalle antiche origini, dai tempi delle offerte alle divinità Shinto rimane la predilezione per materiali naturali con cui avvolgere i doni, così come non è cambiata la cura maniacale dei dettagli, esaltata in forme semplici ma dall’estetica raffinata. Proteggere e estetizzare, ma anche nascondere: la confezione limita l’ostentazione del regalo, che deve rimanere un affare privato, da scartare solo una volta soli.
Se accettare è buona educazione, contraccambiare è d’obbligo, e preferibilmente nel minor tempo possibile. Ugualmente attesi sono infatti i regali di ritorno e anche in questo caso non si sprecano le terminologie: gli hikidemono (simili alle nostre bomboniere) sono fatti in risposta dai neosposi, mentre il kaiki iwai dal malato che è guarito e il koden gaeshi è il modo di ringraziare dei parenti dopo il funerale per il conforto ricevuto.

A GIFT FROM JAPAN

L’elenco delle buone pratiche da seguire potrebbe continuare all’infinito: bisogna infatti tenere a mente che il 4 e il 9 sono numeri che portano sfortuna o che è meglio porgere il regalo con entrambe le mani o ancora ricordarsi di presentarsi con un kashiori quando qualcuno ci invita a casa sua (i giapponesi sono golosi tanto quanto noi!), senza dimenticare di evitare gigli, fiori di loto e camelie, associati ai funerali.
Arte affascinante e complessa, la cultura nipponica del regalo, con la sua esaltazione del gesto a discapito dell’oggetto, si inserisce in un presente in cui le relazioni e l’incontro tra persone sembrano a tratti confondersi tra la miriade di prodotti da consumare voracemente e paradossalmente in solitudine. Gratuito e simbolico, il dono ristabilisce un’intimità che anima uno scambio in cui il prodotto, per quanto materialistico, è al servizio del legame.

Cosa trarre quindi da questo breve viaggio nelle convenzioni sociali giapponesi? Uno pseudo-insegnamento di vita che ci indichi la retta via? O piuttosto un invito? Se del primo non v’è traccia (e utilità al di fuori della retorica del A Natale si può dare di più), il secondo è un semplice promemoria, forse utile come mantra da ripetere quando ci si cimenta nell’impresa dei regali natalizi. Non si tratta di un invito all’acquisto compulsivo, ma di farci stimolare dal dono a valorizzarlo come momento per avvicinarci agli altri, anche solo per un attimo, come quando ci chiediamo se sarà accolto con un sorriso, se “questo è meglio di quello” o se aggiungere qualche parola in un biglietto. Questa consapevolezza non renderà meno ansioso completare quella famosa lista dei regali, ma se non altro potremo consolarci pensando che, come insegnano i giapponesi, è il gesto che conta.